Ce sta na via a Roma de cui nessuno sa,
se chiama Via Paolo Sesto,
ma pe’ l’amici è via dell’Umiltà.
Sta in disparte silenziosa,
e nun dice mai niente.
E ogni tanto se ‘nnamora de na sposa,
perché je piace quel sorriso vero tra i rimpianti della gente.
Se la incontri è per caso o perché proprio ce devi passa’,
o quando vuoi cerca’ un po’ d’ombra,
che te ripara dal caldo della città.
Nun je frega delle foto,
che i turisti nun je fanno.
Nun ha mai ricevuto complimenti,
e nun s’aspetta manco che arriveranno.
Ma se te capita un giorno de doverla incontra’,
ricorda che puro si è stretta e sola,
è la via che porta a casa de Sua Santità.
Sono le 19.06 del 13 Marzo 2013, da un comignolo situato su un tetto di Roma esce del fumo bianco. Normale, si può pensare, è un comignolo e come tutti i comignoli del mondo funziona da parte terminale della canna fumaria ed ha la funzione di disperdere nell’aria il fumo, ma questo no. Questo comignolo ha la capacità di fermare, finalmente, il mondo intero. Si, perché senza distinzioni di religioni, di credi, di stati sociali e qualsiasi altra categoria alienante si voglia mettere in risalto, tutti ieri hanno guardato a quel comignolo con speranza, fede, emozione o semplicemente curiosità, tutti ieri hanno abbozzato ad un sorriso quando quel gabbiano, divenuto ormai più famoso del suo “collega” Jonathan Livingston, si è fermato a guardare quella marea di gente, quasi a dare un segnale, quasi a dissacrare con la semplicità propria della natura quel momento di attesa, quasi come stesse pensando tra sé e sé “ umani, strana specie”.
Ed, in effetti, tutti i torti quel gabbiano non li aveva, l’umano è strano, l’umano sa essere cinico e spietato, sa essere crudele, ignorante, becero e stupido, un umano riesce a vedere un rituale tramandato da secoli, nella sua –stavolta motivata ed accettata, quasi desiderata- sfarzosità e pensare all’odio, alla polemica forzata, alla critica dovuta tralasciando la bellezza di ciò che si sta vivendo. Purtroppo in questo è aiutato dai social network, che tanto di buono hanno, ma che purtroppo concedono, a chi evidentemente non ne ha la capacità, di esprimere la propria opinione incuranti del rispetto e dell’educazione che se non può essere riconosciuta come virtù, concediamole almeno l’importanza che ha nelle regole basilari della comunicazione tra esseri viventi. Mah, vabbè, l’educazione è cosa del cuore.Dicono.
Certo, le colpe della Chiesa sono tante, forse troppe, senza forse, troppe! e nascono ben prima -secoli prima- di un servizio delle Iene. Certamente non devono passare inosservate e soprattutto impunite, in questo ricade la responsabilità di Papa Francesco, il quale, concedendo l’indulgenza plenaria -fatto raro e storico, passato troppo inosservato- non può sottrarsi dal condannare il marcio che vive e sopravvive nella Chiesa, con prese di posizione e misure decise, che facciano finalmente chiarezza.
Ma questo discorso ieri doveva essere messo da parte, non cancellato, semplicemente spostato dalla visuale, per permettere di vedere, non solo guardare, ciò che stava accadendo, l’emozione che si stava vivendo. Probabilmente chi è di Roma, come me, il Papa lo percepisce più come uno di famiglia che come un capo di Stato estero, probabilmente chi è di Roma, come me, nell’elezione del Papa percepisce quella Roma de ‘na volta, la Roma dei Rioni, tramandata da poesie in romanesco di Trilussa, ricordata nelle canzoni di Gabriella Ferri e dai film di Alberto Sordi – per citarne alcuni- ma mai realmente vissuta. È il paradosso dell’amore, amare ciò che non si è potuto vivere.
E allora mentre sotto la pioggia, correndo per le vie di Borgo Pio, senti urlare “Hanno fatto er Papa, hanno fatto er Papa” – perché a Roma er Papa, se fà, nun se elegge- un po’ il cuore trema, com’è giusto che sia, un po’ della disastrosa politica italiana, della ragazzetta che non ce stà, della Roma che nun vince niente, der futuro incerto, pè un’oretta, solo pè un’oretta nun te ne frega niente, pensì solo ad aspettà – e con te, tutto il mondo- quell’omo vestito de bianco che apparirà dal balcone e chissà che ce dirà.
Lo vedi, è simpatico, sembra umile, si, potrebbe esse un buon Vescovo di Roma, staremo a vedere. Ok, er Papa è fatto, ha parlato e mo?! pensi alla tradizione, la quale vuole, che quando more o quando fanno er Papa, a Roma, un tempo le osterie davano da bere gratis, glielo provi a spiegà al barista di turno, ma quello freddo e irrispettoso per la tradizione, te risponde: “ma chi vuoi buggerà, ah morè…so 20 euri, và a fà lo scontrino, che co sta crisi, non se regala niente a nisuno”.
E allora capisci che i tempi sono cambiati troppo e che nella spasmodica ricerca del successo, il popolo ha perso il piacere di vivere tradizioni che legano vite di uomini e donne di secoli e tempi diversi. Perché nel panico sociale, nel quale la società moderna ci ha costretti a vivere, il saper riconoscere e vivere un’emozione ed il sentirsi legati a qualcosa di antico rappresenta una boccata d’ossigeno, all’interno della quale, c’è un senso di Vita che spesso non sappiamo riconoscere.
È durata un’oretta st’emozione, ma però m’è piaciuta, pure se “ma però” nun se dice.